domenica 20 novembre 2011

I CENTO PASSI

SCRITTO DA: MARTINA

“Nei momenti insopportabili del quotidiano, quando le notizie ti raggiungono come prova oggettiva dell’impossibilità di poter vivere in un paese giusto, quando ti accorgi che la soluzione adottata dai più è abbandonarsi al livore o alla rassegnazione, ci sono pensieri che riescono a concedere una possibilità di soluzione. Qualcosa di più di un semplice conforto.  Così almeno è per me.”
Forse queste parole di Emile Zola riescono ad esprimere al meglio il significato della vita di Peppino Impastato, uno degli innumerevoli martiri della mafia in Sicilia, reo soltanto di aver osato  esprimere un parere avverso rispetto al cancro malavitoso ormai in metastasi nella bellissima isola italiana.
La sua storia è esemplare. Lui, proveniente da una famiglia benestante di un piccolo borgo Siciliano, entra in contatto con un pittore, che in un certo modo lo inizia al pensiero comunista, e a ribellarsi alla mafia. Cresce, prova a mettere per iscritto la sua indignazione, pubblicando un giornale e attaccando il potere mafioso in modo diretto e denunciandone soprusi, ma con scarsi risultati. Infatti la sua stessa famiglia, spaventata dalle conseguenze e dalle ripercussioni che potevano subire da parte di Tano, una sorta di Don Rodrigo degli anni Settanta, compra quante più copie possibili dello scritto, evitandone in questo modo la diffusione. Ma ciò non lo ferma. Fonda, insieme a una cerchia di coraggiosi amici, radio OUT,un’emittente libera in cui racconta i problemi della Sicilia,  terra dei limoni e delle rovine greche, sporca del sangue dei caduti per mano dei mafiosi colpevoli soltanto di non volersi piegare al sistema malato che aveva assorbito tutti quelli intorno a loro.
Le minacce e le intimidazioni continuano , e tra genitori preoccupatissimi e compaesani sempre più sconcertati, la radio va in onda ininterrottamente. Poi il padre di Peppino muore. L’unico che era in grado di proteggerlo non c’è più, una macchina lo ha schiacciato sotto il suo peso. E ora? Ora Peppino  si candida a sindaco. E’ troppo. Tano non può sopportarlo, e in una notte di morte lo fa catturare , gli mette dell’esplosivo addosso, e lo fa saltare in aria sui binari di una ferrovia.
Per la polizia si tratta di suicidio. Per il resto dell’isola no. Infatti al suo funerale un corteo di indignati lo segue e grida il suo no alla mafia e ai soprusi, negli stessi giorni del 1978 in cui veniva ammazzato Aldo Moro dalle brigate rosse.
Questa storia non poteva e non doveva passare inosservata. Ma nella realtà dei fatti è successo così. L’importanza di Peppino, martire dei nostri tempi, deve rimanere impressa come un tatuaggio indelebile nelle nostre coscienze, come dimostrazione che l’omertà può e deve essere sconfitta. Non ha sbagliato lui , hanno sbagliato tutti gli altri a non stargli vicino , a non sostenerlo, a essere rassegnati al fatto che nulla tanto può cambiare , e che è inutile opporsi a ciò che è più forte di noi. Ma l’indifferenza è il comportamento peggiore da tenere in questi casi. E’ quasi un dovere esprimere la propria opinione, non si può tollerare che ci siano morti per la libertà di parola in un paese democratico. Antonio Gramsci scriveva : “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” .
 E’ forse questo messaggio che Peppino, nel suo piccolo , voleva comunicarci.

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